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Il medico filosofo, Editoriale


«È necessario promuovere un completamento della formazione personale in medicina che includa capacità non solo di tipo psicologico ma anche di tipo filosofico. La professione del medico, per la sua complessità e importanza, richiede che sia ben chiaro il senso ed il valore del suo agire e delle conseguenze che ne derivano, mettendo sempre al centro il bene dell’essere umano. Il medico di oggi deve quindi ritornare ad essere in grado di curare il corpo ma anche l’anima; deve riuscire a recuperare quel ruolo di saggezza che storicamente gli appartiene; deve poter osservare il proprio agire tecnico sotto la luce del suo senso e significato profondo; deve quindi sempre di più riuscire ad essere, o ritornare ad essere, medico-filosofo.»



Negli ultimi anni si è resa evidente in Europa e nel mondo la tendenza della filosofia al passaggio da modalità di pensiero teoriche, spesso lontane dalla vita quotidiana, ad una più diretta ai problemi concreti dell’esistenza, configurando quello che oggi viene definito counseling filosofico o pratica filosofica. Questo ha rappresentato in Italia, dalla fine degli anni 90, una piccola rivoluzione nel modo di intendere la filosofia, che è venuta così ad affiancarsi alla psicologia nell’approccio ai problemi dell’uomo e dell’esistenza.
Nello stesso tempo, in ambito medico, la tendenza alla super-specializzazione e al tecnicismo estremo hanno portato alla progressiva perdita del senso profondo e dei significati dell’agire medico, con una tendenza all’indebolimento del rapporto con il paziente. Ciò ha comportato, in tempi recenti, la rivalutazione del contributo della filosofia in medicina, riportando l’immagine del medico filosofo già presente nell’antichità. La ben nota frase di Ippocrate “Il medico che si fa filosofo diventa pari a un dio” (Iatròs philòsophos isòtheos) rende l’idea di questo speciale connubio tra medicina e filosofia.

Nell’Antichità i rapporti tra filosofia e medicina erano così stretti da rendere difficile separare le due discipline, poiché l’una si fondava sulle conoscenze dell’altra. Numerosi sono i medici-filosofi esempio di questo nobile intreccio, quali tra i più noti Ippocrate, Aristotele, Galeno. Lo studio dell’uomo era infatti inseparabile dall’indagine sulla natura e sull’universo, tanto che per tutta l’antichità l’essere un buon medico richiedeva anche l’essere filosofo, così come per il buon filosofo era d’obbligo occuparsi della salute dell’uomo. Nonostante questa comune origine, filosofia e medicina si sono progressivamente allontanate, divenendo sempre più l’una scienza dello spirito e l’altra scienza della natura.

La medicina si è resa così sempre più scientifica ed oggettivante, perdendo quello spirito in grado di dare senso a se stessa, e allontanandosi dalla possibilità di mantenere una visione globale dell’essere umano e della malattia. Così anche la filosofia si è sempre più spinta verso teoria ed astrazione, perdendo il contatto con la realtà e la concretezza dell’esistenza.

Mentre è facile intendere il sapere medico, come conoscenza biologica e organica, più complessa e delicata è invece la definizione della capacità filosofica. Con questa non intendiamo tanto la conoscenza della storia della filosofia e dei filosofi, bensì la capacità di vedere le cose in modo più profondo e darvi un senso, di cogliere significati e ricercare valori, di vedere essenze e universalità. Non è quindi tanto una competenza basata sull’applicazione di modelli interpretativi e strutturate strategie di intervento, bensì è una modalità di approccio e di analisi dei problemi propria dei metodi adottati dalla filosofia.
Sebbene la psicologia moderna stia assumendo un ruolo rilevante nella professione medica, non è forse sufficiente a rafforzare ed integrare la pratica della medicina. Infatti, anche la stessa psicologia, sempre più scientifica, può avere sostegno ed integrazione da parte della filosofia nell’affrontare questioni di carattere più “esistenziale” quali il senso della vita, della morte, della malattia, del dolore. Ciò in aggiunta al continuo emergere di problematiche a forte carattere etico e bioetico, quali per esempio le questioni relative alla fecondazione artificiale, l’eutanasia, la gestione dei malati terminali, le terapie geniche, ecc.…

Il metodo filosofico si basa essenzialmente su un particolare tipo di atteggiamento, di modo di porsi nei confronti di situazioni o problemi, libero da pregiudizi, da condizionamenti socioculturali o rigidi schematismi teorici.

Il filosofo aspira alla conoscenza, consapevole di non poterla mai raggiungere in modo definitivo. È il “sapere di non sapere” socratico che contraddistingue uno stile di ricerca permanente, in cui il processo di conoscenza non si conclude mai, rimanendo così in una posizione costantemente aperta. Questa apertura alla ricerca richiede il porsi da parte del filosofo in una differente prospettiva di osservazione delle cose del mondo.

Il filosofo pratico osserva e valuta le cose del mondo da una posizione privilegiata, vede totalità in luogo di particolarità, essenze invece che generalità. Questa può essere sentita una prospettiva difficile per il medico, abituato a schemi, prove oggettive e concrete, evidenze cliniche e protocolli di intervento. Ma è proprio in questo modo che egli può riuscire a superare lo schematismo e la tecnica del proprio lavoro, aggiungendo nuovi elementi che gli consentano di raggiungere una completezza e capacità di gestione, nella infinità varietà di situazioni di fronte a cui può venire a trovarsi.

Il medico, pur essendo divenuto sempre più un tecnico della salute, rimane nel vissuto dei pazienti, delle persone e della società, un punto di riferimento imprescindibile. Egli è portatore di un sapere che rappresenta l’essenza dell’essere umano. Il corpo e la mente sono strutture biologiche fondamentali della nostra esistenza che, proprio per queste caratteristiche, vengono a rappresentare il centro fondamentale su cui gravita la vita di ogni uomo. Il motto “quando c’è la salute c’è tutto” esprime bene il valore attribuito dalla nostra cultura al benessere, che trova nella figura del medico il riferimento principale. Ora l’importanza del medico è accentuata dal fatto che egli non è solo portatore di una conoscenza diagnostica e terapeutica, ma è anche e soprattutto un punto di appoggio e di sostegno. Oggi la facilitazione della divulgazione medico-scientifica fa sì che a volte la figura del medico sia svalorizzata, essendo esperienza frequente incontrare pazienti con autodiagnosi e terapie autoprescritte, che vengono proposte-imposte al medico stesso, il quale, se non consenziente, viene criticato e sostituito.

È quindi necessario oggi tenere conto dell’importanza del recupero di una immagine professionale che includa non solo capacità tecniche diagnostiche e terapeutiche, ma anche capacità di essere guida e riferimento, oltre ad abilità di comunicazione e gestione della relazione. Questo richiede competenze di tipo psicologico ma anche di carattere filosofico, recuperando una identità del medico più completa ed efficace.

È quindi necessario promuovere un completamento della formazione personale in medicina che includa capacità non solo di tipo psicologico ma anche di tipo filosofico. La professione del medico, per la sua complessità e importanza, richiede che sia ben chiaro il senso ed il valore del suo agire e delle conseguenze che ne derivano, mettendo sempre al centro il bene dell’essere umano. Il medico di oggi deve quindi ritornare ad essere in grado di curare il corpo ma anche l’anima; deve riuscire a recuperare quel ruolo di saggezza che storicamente gli appartiene; deve poter osservare il proprio agire tecnico sotto la luce del suo senso e significato profondo; deve quindi sempre di più riuscire ad essere, o ritornare ad essere, medico-filosofo.

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